EmmeBi editing

12/22/2002


Eco Lounge Smartshop
da Il Giornale di Sabato
di Filippo Facci (gentilmente inviato dall'autore)

Numero uno: la notizia è che in Italia la droga è perfettamente legale.
Numero due: non si può escludere che questo articolo sia stato scritto sotto
l'effetto di droghe (un'accusa che la direzione del Giornale aveva formulato
anche per altri articoli, ma era diverso) e questo perché lo scrivente ha
assunto degli stupefacenti che era solo l'altro ieri. Numero tre: quello che
segue è un ampio resoconto della visita all'Eco Lounge smartshop di via
Torricelli 3, a Milano, ossia in un negozio che sembra uguale a qualsiasi
altro e invece vende droga rigorosamente legale (nostra definizione, non
loro) oltrechè una serie di prodotti piuttosto incredibili. Tutto sta a come
si definisce questa droga, appunto: loro preferiscono adottare trecento
altre espressioni assolutamente corrette genere "sostanze naturali
alternative a quelle illegali" o "stimolanti sessuali" o "smartdrug" o
semplicemente "erbe", e la circospezione è tale, da parte loro, che
probabilmente il pepe e le spezie le chiamerebbero insaporitori per cibi.
C'è da capirli. Comunque è andata così: avevamo letto un articoletto su
Panorama e siamo andati a vedere perché pensavamo che potesse essere una
mezza truffa, magari un'erboristeria un po' furba di quelle che ti propinano
lucciole per lanterne, degli incauti che modo loro ci stavano provando o
sfruttavano qualche vuoto legislativo, o ancora una succursale di qualche
centro sociale che avrebbe chiuso entro domattina. E invece no. E' tutto
dannatamente serio e professionale, in primo luogo. In secondo luogo, quella
è droga: l'abbiamo provata. Dovere di cronaca.

Il negozio non sembra un negozio, ma è un negozio. Sulla porta c'è un
cartello che vieta l'ingresso ai minorenni. All'interno ci sono delle pareti
bianche e viola con dei disegni psichedelici e delle lampade al neon che
illuminano dal basso. L'arredo è gradevolmente minimalista con dei pezzi di
design anche piuttosto difficili da reperire. Alcuni campioni dei prodotti
sono appoggiati su pochi scaffali e tu puoi vederli, ne discuti, magari li
chiedi e loro vanno a prenderteli sul retro. Ci sono anche dei libri come
per esempio "Vere allucinazioni" di Terence McKenna ("seconda edizione
riveduta, in trip con i funghi") e poi "In transe (sic) e dissoluzione"
edito da Sensibili alle foglie, la casa editrice di Renato Curcio, e poi "Il
testo drogato, letteratura e droga tra Ottocento e Novecento" (Einaudi) sino
ai demenziali "Campa cavallo che l'erba cresce" e "L ' erba di Carlo Erba".
Mentre sfogliavamo questi libri si appropinquava un educato signorino di 26
anni che si chiama Fabio Panariello, amministratore unico della Dreams Lab
nonché proprietario del negozio. Non fuma. Dice di essere astemio. Ti
racconta che ha studiato marketing e che l'anno scorso ha semplicemente
sviluppato un businnes plan che ha proposto a dei produttori di smartdrugs
olandesi e ad altri produttori tedeschi che vendevano certi prodotti per
fumatori. Morale: il 12 settembre scorso ha aperto il primo smartshop
d'Italia che per come è configurato, spiega, non esiste da nessun'altra
parte del mondo: infatti somma le caratteristiche appunto di uno smartshop
(sostanze naturali e alternative, roba da mangiare, cosmetici, tutto a base
di droghe legali) alle caratteristiche di uno headshop (aggeggi assurdi per
fumare e inalare e rollare ogni genere di sostanza) a quelle di uno growshop
(semi di canapa e tutto il necessario per coltivarla, e ancora semi di altre
piante irripetibili ma dal principio potenzialmente allucinogeno) più altri
prodotti ancora. Per esempio: il Dope test, una macchinetta rudimentale che
permette di capire, metti caso, se una pillola oppure della polvere (leggi:
l'ecstasy o la cocaina) contengano delle particolari schifezze oppure siano
regolari. Si fa per dire. Ma è il prodotto meno venduto, si rammarica
Panariello. Sì, perché c'è da spiegare questa cosa: l'obiettivo ufficiale
della sua Dreams Lab (la mission, come la chiama) è diminuire il consumo di
droghe illegali o sintetiche e comunque prevenirne i danni: infatti vendono
anche dei prodotti che aiutano fisicamente a riprendersi e a recuperare dopo
aver assunto droghe (appunto illegali) così che magari, uscendo da una
discoteca impasticcati come degli zombies, non ci si schianti proprio
immediatamente sull'autostrada. Questo prodotto si chiama After-E "ma
all'estero dice Panariello - si chiama After Ecstasy. Un funzionario del
Ministero però ci ha consigliato di scriverlo in un altro modo perché
altrimenti sarebbe suonato come un incentivo". Sull'etichetta che cosa c'è
scritto? "Integratore di Vitamine". E va detto che in questo negozio è un
po' tutto così: nessun prodotto viene definito con il nome che sottostà
oggettivamente al suo acquisto. Ogni etichetta riporta diciture belle
chiare, correttissime, ma palliative: "In Italia, per fare un altro esempio
dice il nostro - non puoi vendere nessun prodotto definendolo come
afrodisiaco. Noi allora li abbiamo definiti stimolanti sessuali, come la
Damiana, e tutto è andato a posto". Chi è la Damiana? "La Damiana è un erba.
E' uno stimolante sessuale che agisce sui genitali femminili". Costa molto?
"Qui i prezzi vanno dai cinquanta centesimi agli ottanta euro. La spesa
media è di venti o venticinque euro". Chi è il cliente tipo? "Si va dai
diciottenni ai sessantenni, la maggioranza comunque sono studenti
universitari. Ma abbiamo anche tante richieste via internet e un servizio a
domicilio che funziona sino alle '' di sera, quando chiudiamo ". Come per
la pizza e le videocassette. Buonasera, mi porti un allucinogeno. "Entro il
"2003" dice - contiamo di aprire altri punti vendita anche in franchising".
C'è gente che si è fatta avanti? "Anche quei due ragazzi che sono appena
usciti". Panariello si distrae un attimon chiede scusa e fa segno a un
giovane avventore: "Scusa? qui dentro non si può fumare. Grazie". Ecco.
Giusto. Ci prende un senso di smarrimento. "Chissà la ressa gli diciamo -
ora che queste cose ci sono anche in Italia?". "Ma c'erano anche prima. Li
hanno sempre venduti. Quasi tutti. Ci sono molti prodotti, chiamiamole
droghe, che noi non vendiamo neppure e che però trovi tranquillamente in
erboristeria e in farmacia. Non in tutte, ma li trovi". Ma sono legali?
"Mica tanto". Ma come? "Per farti capire: noi vendiamo un liquore che si
chiama Absinth e che in pratica è il famoso assenzio. E' perfettamente
lecito, così come lo vendiamo noi". Eccolo lì: è in quella una bottiglia
giallognola con scritto "La fata verde", costa quaranta euro. "Ma l'assenzio
spiega vale a poco se non ci aggiungi un ingrediente che si chiama
Laudano e che è un oppiaceo, un allucinogeno". E dove lo trovi questo
laudano? "In molte farmacie". Ma è legale? "No". E allora? "Lo trovi lo
stesso. In Italia trovi tutto. Via internet si possono comprare anche semi
di marijuana, che vendiamo anche noi, e anche i funghi magici e il pejote
messicano". Capito. Cioè: uno passa allo smartshop a comprare il liquore,
passa alla farmacia di suo cugino a prendere il Laudano, va a casa e fa
Baudelaire.

Vediamo altri prodotti. Da dove vengono? "Olanda, Germania, l'Absinth dal
Belgio, alcune bevande energetiche tipo Smart Drinks anche da Austria e
Thailandia, i prodotti cosmetici e alimentari alla canapa da Francia e
Svizzera e Cina e Israele, l'ossigeno dagli Stati Uniti". L'ossigeno. Ci
mostra una bombola con una specie di boccaglio: "Produce un leggero
svarione". Capito. Su uno scaffale c'è una serie di prodotti alla canapa che
vanno dal bagnoschiuma ai biscotti alla birra (quattro euro) più varie erbe
e radici e semi vari. Quello che dovrebbe corrispondere all'ecstasy si
chiama genericamente "estasi vegetale" e ce ne sono diversi tipi con nomi
tipo Stargate o Final-E. Dice che è un'alternativa alle sostanze chimiche
illecite e che non fa male: ti da una sensazione euforica in tutto il corpo.
E' classificato come "integratore alimentare" e c'è scritto di non combinare
con antidepressivi tipo Prozac e poi di non prenderli se hai problemi di
cuore o se sei diabetico o se sei incinta, e poi ovviamente devi tener
lontani bambini. "E' ideale per le feste dice - o come stimolante
sessuale". A proposito, e la Damiana? Eccola lì. Dice che è una pianta
medicinale che usavano i Maya e che cambia le percezioni e i sentimenti, ti
fa rilassare o eccitare, ha il suo massimo effetto quando viene fatto un
infuso con un'alcolico, parla di "effetti molteplici quali relax e
stimolazione sessuale, soprattutto sulle donne". Gli uomini non hanno
problemi. Poi c'è un'altra erba che devi fumarla prima di andare a letto ti
rafforza la lucidità dei sogni. Le Blow up caps aumentano l'energia fisica e
sono quelle che dovrebbero corrispondere alle anfetamine. Vabbè.
Ma noi vogliamo il pezzo forte, Panariello. Guarda che lo sappiamo qual è il
pezzo forte. Ce l'hanno detto. E' la salvia messicana, la divinorum, la
merce più ricercata. Dicci qualcosa. "E' il prodotto più richiesto. La
vendiamo in due concentrazioni diverse, più e meno forte, e comunque non
l'abbiamo mai venduta a minori di ventun anni. Da questo mese abbiamo deciso
di elevare la soglia ai ventitre anni, e comunque non la diamo proprio a
tutti". E' un allucinogeno. Il problema è che pare lo sia davvero. Per
fumarlo però devi usare per forza il Bong, un marchingegno di vetro o di
plexiglass dalla vaga forma fallica. Costa dai sedici ai trentacinque euro e
spiegare come funziona è piuttosto complicato: comunque devi metterci dentro
dell'acqua, infilare un po' di salvia in un'imboccatura, accendere e poi
aspirare tenendoti dentro il fumo il più possibile: dopodichè vedi la
sinistra al governo. Costa venticinque o quarantacinque euro, seconda la
concentrazione, e vale per otto o dieci volte. Durata: cinque o dieci
minuti. Loro la classificano come incenso, noi la chiamiamo droga (legale,
ma chissenefrega) e voi chiamatela come volete, anche Giuseppe. "E' tutto
assolutamente legale" dice Panariello che intanto rilascia scontrini. "Mi
sono informato con accuratezza, ho chiesto consigli e autorizzazioni, ho
dialogato e dialogo con tutte le autorità del caso e in particolare con
alcuni ministri della Comunità europea. Non ho fatto altro che adeguarmi
alla legislazione vigente nel resto della Cee". Ha ragione: bisogna capire
che ormai siamo in Europa. Siamo in Europa e ci facciamo di allucinogeni.
Più tardi siamo usciti dallo smartshop con una confezione di Blow-up caps
(anfetamine naturali) una di Final-E (ecstasy vegetale) e due di Synergy
Sage (la salvia messicana, nelle due versioni) e quattro bustine di Syrian
Rue (roba per fare un altro infuso allucinogeno) e infine il fondamentale
Bong, l'aggeggio che se non ce l'hai non ti puoi stordire.

Purtroppo non c'è moltissimo da dire. In serata, il dovere di cronaca ci ha
costretto a una parziale sperimentazione. Al sacrificio hanno partecipato,
oltre allo scrivente, un collega giornalista e poi un imprenditore romano
decisamente nervoso (quella sera avrebbe dovuto cucinare per i figli,
gliel'aveva promesso) e poi una studentessa di filosofia con la faccia da
santerellina (solo la faccia) e in ogni caso la maggior parte della roba è
rimasta inutilizzata sul tavolo. Ci si è presi solo la salvia allucinogena,
peraltro la meno potente. Il maledetto Bong è un apparecchio infernale che
bisogna saper usare. Noi ci si è provato, in cucina. Atmosfera da
cerimoniale, musica luoge in sottofondo Dopodichè, per minuti, è stato tutto
un loop di frasi a rotazione. "A me non mi fa niente". "Aspetta? io?". "Non
abbiamo tirato bene". "Ci vuole un po' ". "A me non mi fa niente". "Aspetta?
io?". "Non abbiamo tirato bene". "Ci vuole un po' ". In pratica si
aspettava come allocchi nella consapevolezza che il primo che avesse detto
di avere le allucinazioni sarebbe parso un cretino. Ha spezzato l'imbarazzo
la studentessa: ha cominciato a dire che si sentiva trascinata come da una
strana forza e sosteneva che la caffettiera era enorme. "A me non mi fa
niente". "Ci vuole un po' ". A un certo punto è squillato il cellulare ed
era il Giornale, ovviamente ignaro: chiedeva un articoletto d'emergenza.
Difficile spiegare che sei drogato e quindi non puoi scrivere, ancor più
difficile spiegare che sei drogato perché ne devi scrivere. Difficilissimo.
"A me non mi fa niente". "Non abbiamo tirato bene". L'altro giornalista
intanto faceva un discorso di nobilitazione delle droghe che partiva da
Maupassant e transitava da Marco Aurelio per approdare, infine, a un amico
di suo fratello che era stato in Colombia e che non voleva più tornare. "A
me non mi fa niente". "La caffettierà è enorme". Parentesi: la caffettiera
era enorme davvero: era una moka da quattordici persone di quelle che in
giro se ne vedono poche. "Secondo me non abbiamo tirato bene". "Aspetta?".
Poi qualcosa è successo, ed è successo mentre si passava dalla cucina al
soggiorno. E' successo chiudendo gli occhi. Le indescrivibili percezioni
luminose che rimangono sulla retina quando appunto abbassi le palpebre, per
un momento, hanno cominciato a plasmarsi e a diventare delle righe
orizzontali e verticali. Aprivi gli occhi e spariva tutto. Li richiudevi e
in effetti era come se una forza centrifuga ti spingesse verso l'esterno, e
questa forza cresceva. Aprivi gli occhi e non c'era più niente. Più che
altro era uno stato mentale, uno di quei pensieri che entrano senza chiedere
permesso ma con la vividezza dell'immagine. Per dignità e pietà di noi
stessi vi risparmieremo ogni letteratura e descrizione visionaria d'accatto,
anche perché significherebbe mettersi a discutere dei cartoni animati di
Hanna & Barbera. "A me non mi fa niente". In soggiorno ci siamo raccontati
che forse avevamo sbagliato, forse dovevamo chiudere gli occhi da subito o
accompagnarci con qualche altra musica o con qualche film. L'imprenditore ha
preso una videocassetta che c'era sotto il televisore, ma era "I cento gol
più belli del calcio mondiale". Ha acceso il televisore e c'era Marzullo: e
c'era davvero. Marzullo è quello che la vita è un sogno e i sogni aiutano a
vivere meglio. "A me non mi fa niente". " E impiccati ". "E' una porcheria, a
me non mi fa niente". "E scolati una bottiglia di vodka". L'imprenditore ha
detto che si era stufato e che se ne sarebbe andato. Intanto continuava a
dire che secondo lui quella roba faceva male. Poi è sceso in strada a
respirare un po' di buona aria milanese.

10/27/2002


L’assassinio della politica
di Barbara Spinelli


VLADIMIR Putin non poteva far altro che quello che ha fatto, di fronte alla violenza di un terrorismo ceceno che aveva preso in ostaggio ottocento inermi cittadini radunati in un teatro moscovita, il 23 ottobre, e che per tre giorni aveva sparso la paura nella capitale e in tutta la Russia.

Di fronte al crimine, lo Stato non può che preservare se stesso, inflessibilmente. Deve poter riconquistare il monopolio della violenza, deve poter colpire i criminali, se vuol salvare non solo gli innocenti che il terrorismo usa come scudi ma la propria stessa vocazione a proteggere l’incolumità della popolazione e la sopravvivenza del contratto sociale tra governanti e governati.

L’assalto al teatro di via Melnikova è la conseguenza logica di tutto ciò, e l’operazione sarebbe un successo sicuro se non fosse per il gas nervino: qualora, come sembra, esso fosse stato usato, saremmo di fronte alla gravissima rottura di un tabù, perchè quest’arma infame non era mai stata maneggiata da un governo che ha il rispetto del mondo.

I sequestratori sono stati in gran parte uccisi, a cominciare dalle donne con cinture di esplosivo e chador che avevano annunciato alle televisioni arabe di voler morire a Mosca per la Cecenia e la loro fede.

I civili hanno pagato un prezzo alto, ma centinaia di essi sono scampati allo scontro seguito all’assalto delle unità speciali impiegate nell’alba di ieri.

Ma la pagina che è stata scritta in queste ore a Mosca è al tempo stesso assai buia, e di pessimo augurio. Come pagina della nostra storia, è improbabile che serva a correggere le azioni delle classi politiche e di quelle governative, in Russia come in Occidente.

Serve a unificare il fronte della guerra mondiale contro il terrorismo, e a rinsaldare la determinazione poliziesca dei governi minacciati. Serve a creare l’immagine dominante che caratterizza questo inizio del secolo, dopo la fine delle ideologie novecentesche: l’immagine di un terrorismo globale, che usa la fede musulmana come arma offensiva e come sfida, che proclama la guerra agli infedeli d’Occidente come d’Oriente.

E che conduce la sua offensiva di fronte alle telecamere, nelle ore di maggiore ascolto, per meglio piegare le menti di chi osserva - fino a ieri ignaro di quel che accade, tramutato improvvisamente in spettatore impotente d’un regolamento dei conti indecifrabile, ultraterreno - la meticolosa messa in scena dell’orrore.

Ma serve anche a obnubilare la realtà, a militarizzare definitivamente l’arte della politica, a far apparire quest’ultima completamente superflua, completamente inane, priva di qualsiasi autonomia, incapace di dar leggi a se stessa che non siano quelle della giungla e della punizione violenta, più o meno preventiva.

Il nuovo ordine mondiale rischia di essere questo: alla pace e alla politica incaricata di edificare le regole della convivenza civile, si sostituisce una militarizzazione delle menti che tende a uniformarle tutte sotto un unico emblema cui viene dato il nome di terza guerra mondiale contro il terrore islamico.

Alle regole si sostituisce una sregolatezza mentale che solo le armi possono curare. Integralismo religioso e militarizzazione della politica stipulano fra di loro un diabolico patto - il patto della guerra fra le culture - e la parola che unifica i contraenti è quella pronunciata nei giorni scorsi dalla donna kamikaze con chador: «Sono pronta a morire qui a Mosca per i ceceni e contro gli infedeli».

L’avversario dell’indipendentista ceceno non è Putin lo stratega, il politico. È Putin l’esponente della fede cristiana contro cui l’Islam in quanto tale è chiamato ad arruolarsi: una via d’uscita più onorevole non c’era, per il Presidente russo impelagato in una orribile guerra coloniale.

Le peculiarità locali e nazionali si sperdono, nella caligine mediatica di simile globalizzazione santificata del crimine. Gli obiettivi legittimi delle guerre di indipendenza e di emancipazione nazionale vengono frantumati, dalla macchina omologatrice di questo Moloch che tutto divora e tutto trasforma: il Moloch di un terrore che sotterraneamente si allea con i capi delle mobilitazioni antiterroriste e che coscientemente viene chiamato alle armi per cancellare ogni ragionevole distinzione fra guerre lecite e illecite, tra frustrazioni reali e immaginarie dei popoli, tra sofferenze razionali e irrazionali.

L’azione terroristica contro i civili moscoviti non porta alla ribalta le guerre dimenticate, come hanno preteso i sequestratori fanatizzati dalla depravazione del jihad islamico. Forse essi vogliono portare i conflitti nel cuore del paese aggressore, ma di fatto ottengono l’esatto contrario. Trasformano guerre giuste in guerre criminose, pervertono la loro natura come le loro finalità, tolgono ogni speranza a chi in buona fede combatteva contro le atrocità di un’oppressione, una colonizzazione.

Non solo: di fatto deresponsabilizzano i colpevoli stessi di queste oppressioni e colonizzazioni - il governo russo, nel caso della presa di ostaggi al teatro di via Melnikova - che attraverso il terrore dovevano esser spinti a prender coscienza dei propri errori e a correggerli.

Il terrore contro i civili e la guerra dell’Islam kamikaze hanno deresponsabilizzato Sharon in Israele, permettendogli di ignorare le domande non illecite che vengono dal popolo palestinese nei territori occupati. Ma ancor peggio in Russia, nella guerra caucasica che Putin ha ricominciato all’inizio della sua carriera di Presidente, nell’autunno del 1999: una sordida guerra di sterminio, ben più feroce di quella condotta dagli israeliani in Cisgiordania e Gaza contro un terrorismo antico, è stata definitivamente deformata e banalizzata dall’azione criminosa di pochi combattenti islamizzati, consentendo a Putin di allontanare da sé ogni personale responsabilità, ogni consapevolezza di carattere politico.

A partire da oggi, il terribile conflitto ceceno smette di avere i caratteri che aveva: da guerra di indipendenza diviene semplice tassello della globale guerra contro Al Qaeda, escrescenza di un unico male che non necessita rimedi locali e prese di coscienze nazionali ma che richiede un’unica, indistinta, militarizzata risposta mondiale.

È il motivo per cui osservatori obiettivi e attenti come l’esperto militare Pavel Felgenhauer a Mosca, o l’ex consigliere per la sicurezza Zbigniew Brzezinski in America, denunciano l’alleanza obiettiva fra terrorismo e vertici russi.

E si chiedono come sia stato possibile che un manipolo di cinquanta kamikaze vestiti con regolare uniforme, carichi di esplosivi e imbarcati in camion militari, abbia potuto traversare la Russia, entrare indisturbato a Mosca, irrompere nella sala del teatro (intervista di Maurizio Molinari a Brzezinski, La Stampa, 26 ottobre) In ogni caso gli eventi moscoviti sono la cosa peggiore che potesse accadere al popolo ceceno e ai suoi combattenti per l’indipendenza: l’irruzione dei terroristi nel teatro pieno di cittadini mette sullo stesso piano l’11 settembre americano e il 23 ottobre moscovita, e così facendo mescola quello che non andrebbe mescolato, confonde quello che andrebbe separato.

Fino a ieri il conflitto condotto nel Caucaso dalla forze russe era una guerra nascosta: tenuta lontana dalle telecamere, dai giornali, dall’attenzione della stessa nazione russa.

Avveniva in una sorta di camera chiusa a chiave e separata dal resto della nazione, e in questo era ben diversa dalla guerra condotta dagli israeliani nei territori occupati. Delle azioni militari di Sharon nel campo profughi di Jenin abbiamo saputo tutto, grazie alla libera stampa israeliana e alle organizzazioni umanitarie.

Abbiamo saputo, in particolare, che il massacro di cui era stato faziosamente accusato non aveva avuto luogo. La Cecenia è invece un campo dalle centinaia di Jenin: tutte vere, ma tutte occultate. Questo è cambiato, negli ultimi tre giorni. Da guerra nascosta e dimenticata, la guerra cecena è diventata guerra sequestrata.

Guerra d’indipendenza che solo qualche eccentrico si proverà ancora a difendere, in nome dei diritti dell’uomo e contro la minaccia di un genocidio. La stessa parola genocidio scomparirà dal nostro linguaggio. La adopera ancora Brzezinski, o la vedova di Sacharov Elena Bonner, o il partito radicale italiano. La adopera lo stesso Museo dell’Olocausto in America, che ha iscritto la Cecenia, assieme al Sudan, nella lista dei paesi dove un genocidio sta compiendosi.

Ma Putin esce dalla prova con uno strano successo. Di questo genocidio, non è più lui il primo responsabile. Chi conosce la guerra cecena si meraviglia che il sequestro terrorista non sia avvenuto prima. Perché a forza di nascondere le guerre e di tenerle chiuse in separate stanze dell’orrore, i perseguitati ricorrono a soluzioni estreme pur di farsi sentire. Perché è stata la straordinaria ferocia e corruzione dell’offensiva russa a creare infine il terrorismo, e non il contrario.

Di per sé la Cecenia non è una nazione dedita all’estremismo islamico. Il suo presidente legittimamente eletto, Aslan Maskhadov, ha sempre cercato di tenere a distanza i radicalismi arabi che volevano impossessarsi della guerriglia, con molta più chiarezza di Arafat.

La popolazione è tradizionalmente attratta da un Islam mistico, estraneo al massimalismo. È l’atrocità della guerra che ha indebolito il gruppo dirigente, in particolare da quando Putin ha avuto piena libertà d’azione dopo l’11 settembre. Che ha permesso l’infiltrazione dell’Islam legato agli arabi di Al Qaeda.

Al Qaeda è divenuto il nome di tutti i mali su questa terra: una sorta di Moloch appunto, che raduna su di sé tutte le colpe, e che dà licenza ai governi minacciati di avere un unico nemico esterno, ben individuabile come bersaglio. Ma il male sarà difficile vincerlo, se gli si attribuisce tutta questa sterminata onnipotenza.

Se sistematicamente viene trasformato in forza che ci è esterna, oltre che estranea. Se la politica non riconquista quegli spazi che ha lasciato marcire nel corso di decenni, rinviando le soluzioni moderate dei conflitti e consegnandoli infine ai demoni, come più volte è già accaduto nel Novecento.

In Palestina c’è un terrorismo kamikaze che si macchia di ingiustificati crimini contro l’umanità, ma c’è anche una situazione che solo Israele può riparare, decolonizzando i territori occupati. E così in Russia: il disastro del teatro moscovita è colpa del terrorismo, in primo luogo.

Ma è anche colpa di un governo che rifiuta ogni soluzione politica del conflitto e che non esita a programmare il genocidio di un popolo. Ed è colpa di tutti noi, che davanti a questo genocidio non sappiamo schierare null’altro che la nostra complice indifferenza.

10/12/2002


W blob di Pierangelo Buttafuoco
da "Il Foglio" di Venerdi 11 Ottobre

Non rompa il cazzo, Cavaliere. Non ce la venga a raccontare. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. E’ già bello e fabbricato per un Blob. Per predisposizione e per vocazione naturale. Si porta sulla scena e non può chiedere di fermare il godimento della messa in scena. E non può pretendere di farsi raccontare alto, bello e biondo perché il Berlusconi che ha vinto l’Italia, non è questo, ma l’altro. Proprio quello di Blob: enbonpoint, non altissimo e sorridente. Giusto quello che ha neutralizzato gli insulti con il sorrisino. Giusto quello del “cribbio”. Giusto il nostro. E se lo tenga caro tutto il Blob in video, allora. Non lo faccia censurare – non faccia crescere quest’abitudine del taglia e aggiusta – perché certo, Vossia alla storia ci passa per il pil (certo che ci passa), ci passa anche per Pratica di Mare (certo che ci passa), ci passa pure per l’abolizione della tassa di successione (certo che ci passa), ma se continua così – fare perfino saltare dalla registrazione del Costanzo Show Sabina Ciuffini se solo si ricorda di Vossia che era così “giovane e bello, con il garofano all’occhiello” – finisce che noi ci mettiamo un punto e basta. Punto e basta. Perché è un tic troppo miserabile quello di imporre un sé che non esiste. E’ una velleità, questa di censurare tutto, di troppo trista patologia. Una vera malattia. Vossia lo sa com’è fatto Vossia stesso. Non si possono truccare le foto, non si può sbiancare il passato, non si possono cancellare “le dita della mano”. E sa che nel Blob di Enrico Ghezzi c’è tutto il capitale di Vossia, quello che non ha prodotto altra immagine che il successo, perché se ne lamenta? Blob è il manifesto di una “storia italiana”. E più lo vieta e più lo sperpera. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Lo sa Vossia e lo sappiamo noi: Blob è l’opera omnia di Berlusconi. Si mette avanti, si mette in mostra. Si fa guardare. E se la balla, e se la suona. Ci canta sopra. E il pullover, e il tacco, e il doppiopetto. E la cravatta col puntino. Il centro tavola e, ovviamente, il mandolino. Con Apicella & Marinella. Per fare tutta una Ciramella. Lo sa Vossia e lo sappiamo noi. Sappiamo tutto. Ci fa il feticcio, e il simulacro, e se non basta, il miracolo incantato. Ci fa vedere i numeri e le prestidigitazioni, si fa toccare, si fa mirare. Si fa ammirare: come se ogni giorno fosse Vossia in persona la nuova quindicina. Tra poco, potrà pure farsi una concessionaria Fiat, insomma ha tutto, ha di più, si tenga Blob. E’ il migliore programma televisivo di satira, è la più bella trasmissione di politica prodotta dalla tivù italiana. Non faccia conto di doversene dare pena perché tanto, Vossia non la vede, non la guardano neppure i suoi elettori. Perché ci deve cavaliereggiare, chi glielo fa fare? Forse per tenere in piedi la baracca di quei mentecatti che le stanno addosso? Quegli appuntini, non li legga nemmeno Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Noi sappiamo come sono fatti questi campioni del pluralismo liberale. Sappiamo cosa fanno. Caricano la scrivania di Vossia con i seguenti appunti: “Il Tg1 di Mimun ha fatto trenta secondi in meno”; “Mentana non ha richiamato”; “Mazza ha fatto un’apertura del Tg2 della sera con troppo Bossi e poco Romani”; “Bruno Vespa non mi risponde al telefono”, oppure: “Chiambretti mi aveva promesso un’apparizione”; “Perché Mara Venier non fa ballare la Teresa?”; “Ancora inevasa la richiesta di documentario sulla talpa di Cerignola”. Questa sì che sarebbe materia su cui cavaliereggiare perché se ci va sempre la gatta in tutto questo bel lardo, è segno che ci fa il callo lo zampino. Non può credere di farla, la Rai, disfacendola e non facendola. Non può credere di farlo anche con quella di sua mera proprietà. Non si può passare la vita tra i post it gialli di qualche mentecatto in cerca di secondi al telegiornale e poi “evitare questo”, “trovare il modo”, cancellare in toto. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Vossia è troppo una meraviglia, e ci piace da morire, ma si ricordi cosa facevano gli imperatori di Roma (che pure erano gli imperatori di Roma) attraversando gli osanna della folla. Correvano lungo il percorso del trionfo con una biga, salutavano la folla in festa, si lasciavano celebrare con tutto il bottino, ma si tenevano caro, rannicchiato nella biga, uno schiavo addetto al ridimensionamento: “Ahò, quelli ti staranno battendo le mani, ti stanno dicendo che sei meglio del sole, meglio della luna, ma tu sei solo una mentula piena d’acqua”. Questo facevano gli imperatori di Roma (che pure erano gli imperatori di Roma). Qui ci mettiamo un punto e basta. Cavaliere dunque, non rompa il cazzo.

9/15/2002


Rave di Filippo Facci
da "Il giornale" di Sabato 14 Settembre 2002
RAVE

I vostri rave sono nulla. Voi siete nulla. Siete un sol corpo deforme e
ammassato che danza e che danza. Siete rimbecilliti, ipnotizzati da orgie di
luci e di suoni che bruciano notti inutili e svuotate di mistero, siete un
sottovuoto annebbiato di alcol e di droga e di musica che annullino e
disinneschino tutto quel che vi fa uomini, siete bestie. Siete animali e
questo è magnifico, lo so, tutto ciò è necessario e liberatorio, lo so, ma
quel che lascia attoniti è l¹infimo livello della vostra devianza, la
vostra ridicola pretesa di unicità.
Vi abbruttite con musiche ossessive e frastornanti, i vostri sguardi si
protendono alla ricerca di raduni primitivi e stordenti che finalmente vi
assolvano e vi spoglino delle singole personalità che non avete la forza di
avere: e non conoscerete mai la straordinaria forza visionaria che può
scaturire dal confronto elementare ma coraggioso tra voi soli e la musica,
quindi la riflessione autentica, la magica reazione, la capacità di saper
davvero ascoltare le note e lasciarsene pericolosamente penetrare.
Non conoscerete mai un Baccanale di Wagner e quindi i pensieri che prendono
a galoppare senza briglie, le visioni, feste impossibili, luci di crepuscolo
che signoreggiano su parchi e giardini immensi, spettacolari fontane
colorate e tavoloni in legno con barilozzi antichi e bottiglie di chissà
quale annata, tabacchiere d¹argento, sigari d¹ogni tipo, e una folla
misurata e benvestita che s'immerge tra cascate di vino frizzante e schiuma
rubiconda, piscine di birra in cui tuffarsi tra cespugli di spuma e profumi
di malto e di luppolo: le vostre droghe sono nulla. Una Notte trasfigurata
di Schoemberg e sognereste le antiche Feste dei Folli, quando i chierici e
gli studenti stravolgevano le gerarchie, e i preti erano cacciati dai
pulpiti, e i sacri paramenti erano lacerati o indossati al rovescio,
sognereste la memorabile Festa del 6 gennaio 1482, a Notre-Dame, quando una
corte di ladri e di storpi e di mendicanti venne elevata agli altari tra
amplessi rumorosi e ubriacature di massa: perché tutto è già stato fatto, i
vostri Rave sono niente. Un Sogno di una notte del Sabba e vi parlerei dei
seguaci di Dioniso e dei loro cortei, riti notturni che avvenivano nei
boschi sacri e a cui accorrevano schiavi e contadini e soprattutto donne,
folle ebbre di vino che illuminavano il proprio orgistico cammino con torce
possenti e irrompevano dal buio, ai margini della città, per svegliare le
genti e ricordar loro che tutto è relativo, che può esistere un mondo
contrario all¹ordine costituito e alle gerarchie opprimenti, contrario al
dominio del dovere, senza ruoli, senza certezze, un mondo notturno e
femminile, ribollente di emozioni, denso di passioni che si facciano beffe
del mondo diurno e apollineo della razionalità maschile. I vostri rave sono
niente.
(gentilmente inviato da Filippo Facci)

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