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8/27/2005
Paperina Ventura e Gastone Bonolis
di Massimo Gramellini La Stampa - 26 Agosto 2005 Non si agiteranno in contemporanea. Come sempre, la simpaticamente sguaiata Ventura spalancherà le sue braccia nel celebre gesto da vigilessa a partire dal primo pomeriggio su Raidue. Mentre «Sbrodolo» Bonolis irromperà su Canale 5 all'ora della merenda e dei filmati di calcio, che lui avrà e lei no: lei non avrà nulla, nemmeno la voce di un gol rubata a una radiolina. Non si tratta soltanto di una sfida a distanza, dunque, ma di un duello squilibrato, in cui come spesso capita toccherà alla donna partire da posizioni di svantaggio. Uno scenario gravido d' indignazione da cui Bonolis saprebbe trarre spunto per un monologo moralista di almeno sedici minuti, prima di costringere la concorrente ad abbracciare un pitone sudato per la gioia del pubblico di sadici guardoni, naturalmente dopo la pubblicità, «qualora lo vogliate». Non esistono tratti in comune fra i due tipi di italiano in lizza, se si esclude un riuscito impasto di intelligenza, furbizia ed esasperazione ossessiva, che lei esalta nei vestiti da giovinastra e lui in un linguaggio forbito che nobilita qualsiasi volgarità. Bonolis ha imparato il mestiere parlando ai bambini, Ventura ai maschi appena un po' cresciuti che tirano tardi la notte con le domeniche sportive. E adesso lui va a finire dove lei aveva cominciato: nel pallone. Anche se con mezzi e prospettive ben diverse. Di lei, lui dice come da formulario: «E' una grande professionista», ma certo non ci perde il sonno. Invece lei, di lui: «Bonolis è Gastone, io Paperino». In effetti Gastone è sempre al posto giusto nel momento giusto: da Piersilvio Mediaset quando là valorizzano gli show, in Silvio Rai mentre ci sono da lanciare pacchi e intervistare serial killer, di nuovo da PierMediaset per sbranare il pallone nel banchetto televisivo più ricco della storia. Paperino, invece. A Ventura toccano sempre i casi disperati. Il gioco delle tre scimmiette per cui era negata, ma che non avrebbe funzionato nemmeno se a condurlo avessero chiamato Bush, Blair e Berlusconi. Il varietà di calcio ereditato da Fabio Fazio quando già dimagrivano i diritti Rai sulle partite, che anno per anno si sono assottigliati ulteriormente, fino al nulla cosmico attuale. E poi, e soprattutto, il festival di Sanremo: a lui i ponti d'oro, a lei Tony Renis, che al massimo ne avrà avuto uno in bocca. Gastone e Paperino. Giusto metterli a confronto, ma non in concorrenza. Raccontano Italie diverse. Quella di Bonolis è media nei gusti e adulta, quasi anziana, d'età. Il Mike Bongiorno dell'età aurea ti faceva sentire più intelligente del presentatore, ma mai dei concorrenti: un particolare, questo, che serviva a rammentarti la tua ignoranza e a volte poteva persino indurti a chiedere aiuto a un libro. Bonolis invece ti fa sentire con lui (anche se non proprio come lui), comunque molto più astuto di quei poveracci che vengono sommersi di paroloni davanti ai pacchi o balbettano risposte assurde a domande poste in tono insolente. «Come si chiamava il terzo imperatore di Roma? Cali...» «Calindri?» «Ma che dice, sciagurato!» E davanti alla tele tu ridi, illudendoti di essere un drago in storia antica. Bonolis imita i modi di Sordi e la voce di Totò: di quei due titani ha l'approccio sadico alla risata, scaturita dal gesto gratuito di crudeltà che il protagonista compie ai danni di uno più disgraziato di lui. Ma quando da Bonolis gratti via Totò e Sordi, rimane Renato Zero a colloquio coi sorcini. E' il momento in cui smette di far ridere e diventa fantaretorico, ricorrendo ad articolate prolusioni per esprimere un concetto che persino una lingua verbosa come l'italiano riesce talvolta a racchiudere in una sola parola. Simona Ventura di modelli non ne ha. Neppure la Carrà, che la sopravanza in tutti i «fondamentali»: ballo, canto, recitazione e portamento. Ventura rappresenta l'evoluzione estrema e mai più raggiunta della valletta che grazie a doti naturali come la spigliatezza e altre acquisite come l'autoironia (che frequenta assai più di Bonolis) riesce a sfondare la crapula del telespettatore medio. Si è fatta da sè, senza registi e autori pigmalioni, al massimo un produttore più amico di altri e un procuratore, Lele Mora, che la tratta come Bobo Vieri. Simona non incarna la single sfigata, ma quella in carriera. Non Bridget Jones, ma una delle sue amiche. E' l'idolo degli stilisti, che le infliggono completini da discotecara rimorchiona perchè immaginano le loro clienti uguali a lei: autonome, intraprendenti e attratte dai lustrini-lustroni di Briatore. Se Bonolis resta l'italiano medio che mangia davanti alla tv, ma solo quando c'è la partita, e ha sposato una moglie finto-sottomessa e in realtà dominante, Ventura rappresenta quella che si è fatta da sola e da sola si è scelta un marito più giovane e bello con cui riprodursi. Poco rassicurante per le masse, ma la sua trasgressione non consiste nel sedurre i mariti altrui, quanto nel proporsi con l'autorevolezza di un vero capofamiglia. Il suo limite: non dà mai l'impressione di rivolgersi al pubblico, ma sempre ai compagnucci del«quartierino»: Briatore, Dolce & Gabbana, i milanesi-bene che frequentano il suo ristorante. Lei di continuo li rassicura con il tipico intercalare "quello che piace a noi", che provoca un senso di esclusione in tutti gli altri. La gente comune la interessa così poco che non ne prende neppure in giro i difetti. Preferisce sfottere una modella che una commessa. Perciò funziona nei programmi grondanti di vip, più o meno in disarmo. Gli sconosciuti li lascia volentieri a Bonolis e alla De Filippi. Insomma: Ventura sta in tv come se fosse in barca, Bonolis come se fosse al mercato. Due Italie che si sfiorano di rado, ma in fondo si riconoscono. Fra l'una e l'altra non è il linguaggio che cambia, al limite la compagnia.
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